aspettando primavera




folate di immutate emozioni
nel vortice dei soliti affanni,
il verde schiarisce nel giallo,
il giallo danza col rosso,
il rosso tinge d’oro
la pioggia tra i viali
 
mutano gli umori, riflessi
in una pozzanghera, mentre
ripenso alla foglia immobile,
scampata alla burrasca,
accovacciata sul mio balcone
e… mi rivesto d’autunno







quante volte?


Quante volte ho iniziato nella mente questo scritto, non lo so più.
Ho abbozzato migliaia di discorsi seri o divertenti. Ho iniziato mille e mille conversazioni, ma cosa importa ora.
Ora che mi sono decisa a provare a mettere in fila le parole, in realtà, non so bene da che parte cominciare.
Sembra che in fondo non sia cambiato niente.
Io qui davanti al computer, le dita che sfiorano la tastiera, e forse domani tu che sfiori le stesse parole con gli occhi, davanti al tuo pc, “le mie dita che sfiorano i tuoi occhi” (me lo devo ricordare!), e invece…
E invece il vento è passato tra di noi e il tempo sta facendo di tutto, di più, per cementare le situazioni.
Come stai ?
Come vivi ?
C’è qualcuno che ti domanda come stai ?
Il tempo ci ha proprio perduto ?
… domande orfane senza risposte

Quante volte ho pensato di lasciar andare quel palloncino “lascialo volare si sgonfierà da solo e cadrà lontano da te, e tutto tornerà al suo posto!”
Quando sono “saggia”, lo lascio andare, ma ha un filo così lungo.
Quando penso che sia volato via, alzo gli occhi al cielo e lo scorgo, faccio una corsa a perdifiato e lo riacciuffo, che bello,  faccio ancora un poco di strada con lui.
Amo la sua compagnia.

Quante volte non mi hai riposto. Quante?
Una persona “normale” avrebbe odiato quel silenzio... “quel silenzio che non so far stare zitto!”
Io, sono sincera, non l’ho mai fatto.
Non perché sono “speciale”, ma perché non ne sono capace, non mi hanno insegnato l’odio.
Ho sempre preso la delusione che accompagnava i  silenzi  (sapessi a volte che male fa), e l’ho sempre trasformata in energia, me l’hai insegnato tu…
E ne è sempre uscito qualcosa di buono.
E anche se in questo momento mi scendono ancora lacrime e si riaprono le ferite, so che non ho fatto male a nessuno, o almeno spero.
A volte invece penso che ho fatto tanto male, con tutto questo mio vagare, ne ho fatto sia a me che a te.
A me perché non so accettare quella che sono. A te che ho torturato mostrando a tutti i costi una Rosa che non c’è.
Mi avevi chiesto di lasciarti sereno, che avevi bisogno di ricostruire un pezzo del tuo cammino per imprimere buoni insegnamenti… 
Non ne sono stata capace.
Ti chiedo perdono con tutta me stessa.

Quante volte ti ho dedicato parole e discorsi per farmi compagnia.
Che imbarazzo, che sofferenza ti ho dato...
Hai pagato cara la “debolezza” di avermi...  spinta a scrivere.
Ma nel mio cuore so che ti ho dedicato il meglio di me, o almeno questo era quello che volevo dal profondo della mia anima.

Quante volte mi dispiace di averti coinvolto in questo mio viaggio alla ricerca di me stessa, mi dispiace perché sono stata una spina nel fianco, come se non avessi già abbastanza…
Hai pensato che con delle parole là in piedi, per strada, vicino alla mia macchina, mentre il sole mi accarezzava con i suoi raggi di settembre, avrei saputo fermare tutto.
Ci ho provato tante volte sai, ci ho provato per te, anche se ora sono qui, a guardare i miei insuccessi.

Quante volte ho pensato di amarti.
Un amore infelice senza occasioni.
Buffo, nudo e scalzo in attesa del tuffo.
Un triste pagliaccio alla ricerca della risata del pubblico.
Un amore dipinto ad acquarelli, in un dolce paesaggio, una tela nascosta in una cassaforte.
Grande sconosciuto inutile Tesoro.
Stracci di parole lo tengono in vita, parole sussurrate da labbra di ghiaccio, mai una risposta, mai un abbraccio, mai una carezza lo alimentano…

Quante volte mi sono arresa accorgendomi della realtà. Io innamorata dell’amore. Non c’è teatro dove rappresentare lo spettacolo del mio Amore. Non ci sono attori, ci sono solo comparse in una vita che a volte pare non mi appartenermi più.
Tu sei comparso nella mia strada, non so bene cosa sia successo, forse non hai fatto altro che porgermi uno specchio e io mi sono vista per quello che ero. E oggi non so più distinguere la linea di confine tra amore e bisogno d’amore.
Ho fermato le lancette dell’orologio e ho incatenato alla mia anima.

Quante volte cerco di immaginarmi il tuo volto, le tue mani…

Quante volte mi domando “ma cosa vuoi da lui?” non lo so, non lo so più. Forse ora avrei davvero bisogno di parlare con te, per vedere quanto tu sia distante da quello che il mio cuore la mia mente hanno cullato per così tanto tempo.
A volte mi convinco che infondo un po’ me lo “devi” o me lo “merito”…
Altre invece cerco di convincermi che non sei mai esistito.

 

verde e blu


Siamo sempre più distanti, il tempo sta proprio facendo il suo lavoro e sta sbiadendo qualsiasi contorno.
Prendo a volte un carboncino e ripasso i contorni, forse per abitudine, a volte tristemente senza trovare il senso, a volte con l’allegria di un pensiero lieto che mi fa sentir leggera, anche se solo per un lieve istante.
La nebbia è salita e ha lasciato tutto così chiaro, così ben distinto, così limpido che la realtà mi colpisce, come uno schiaffo in pieno viso.
Non c’è nulla da ripassare, lo so. 

Ho costruito una “storia” con mille tessere di me, come un grande puzzle e le ho sparse sulla Tua strada.
Le hai raccolte ad una ad una, e hai fatto il quadro di me.
E l’hai appeso nella stanza più segreta del Tuo cuore, o così spero...
Qualche volta vai a fargli visita e l'osservi, prima da lontano, poi da vicino, ma mai troppo vicino...
Guardi e sfiori con gli occhi le sue sfumature i suoi tratti evidenti o solo accennati.
Ma non ti concedi mai di lasciarti trasportare in quel prato.
Ti concedi solo qualche “occhiatina”...
Mi piace questa idea di te assorto che mi pensi, che osservi questo puzzle imperfetto, incompleto, con le sue lacune i suoi frammenti.
Ti vedo sapiente Asceta mentre lo componi e completi anche i pezzi mancanti...
Mi piace l’idea di essere un prato...

Il tuo puzzle  è fatto da così poche tessere.
La maggior parte le ho dipinte e pennellate senza riscontri, se non nel mio “sentirti”
Tu sei cielo e nuvole in movimento perenne
Tu indefinito e perfetto come può essere un sogno, come lo è il sogno di volare tra le nuvole e poi nel sole...
Il tuo puzzle è fatto da così poche tessere... ahimè le ho rubate, carpite a forza (ma non troppo) e l’ho appeso nella stanza più accogliente del mio cuore
Ho poche tessere, ma sono più luminose di diamanti in un cielo di velluto nero.
Sono stelle radiose in questo paesaggio di me e te
E tremano e pulsano e vivono in me

Io prato... Tu cielo
Io verde... Tu blu
Io riarsa da mille giorni... Tu pioggia attesa

dolcemente ti bacerò




 

 
adagiata in un tiepido prato
pensieri capricciosi s'ingarbugliano,
nuvole di panna montata si rincorrono
primavera di fiori riversa i sensi,
chiude gli occhi inseguendo una lieta canzone
 
un leggero profumo di gelsomino
annuncia un uomo silenzioso,
sarà il giardiniere o l’asceta
a lei non importa, lascia correre il vento
che la scombina, senza aprire gli occhi
 
le raccoglie i capelli tra le mani
avvicina le labbra alla fronte
tace, non la tocca, non la sfiora
ora le labbra lambiscono le tempie
lentamente raggiungono la sua bocca
 
non apre gli umidi occhi, domandandosi invano
perché non si lascia tentare da quel bacio
avverte il calore della pelle
altro contatto non c’è, solo la sua mano tra i capelli
e libere lacrime, specchi di anime in volo
 
in uno scorcio d’inverno il giardiniere
le regalò quel sogno sfuggente
poi, perdonandosi le promesse
se ne andò,
asceta per sempre
 
lei lo accolse in grembo
 lo ricamò, giorno dopo giorno
in coltri soffici per sopravvivere all’eterno inverno
seppellendo tra i ghiacci
il suo essere fanciulla
 
 

così



così lontana,
distante dal buon senso
discosta e divisa tra ragione e contraddizione
 
così infreddolita,
dentro questi infuocati pensieri,
mentre scricchiolano respiri, mangiati dal vento
 
così uggiosa
asciugo lacrime su assetati sentieri,
e piego i giorni dentro la prigione della memoria
 
è così…
a volte il cuore  è così …
a volte il cuore è così pieno, di vuoto… che fa male

amo certe mattine





Amo certe mattine…
mattine grigie, di novembre
intonate all’umore del mondo
Ti senti così a posto
magari un po’ triste,
ma in sintonia…
con le foglie scricchiolanti
le incertezze nei contorni
e i capricci di lane colorate
Amo certe mattine di novembre,
quando spingo un buongiorno
a migrare verso est
incontro ad un tiepido, bianco sole

mono-tono





 
un nodo in gola
stringe i giorni che cadono
tra rinsecchiti silenzi
e ammutolite parole
 
scivolo con la pioggia
fino alla buia gronda,
anche la voce se ne va,
rubata dal vento,
 
l’ombra si confonde
sull’agonia di foglie,
sfumature di me sullo sfondo
di uno sterile giro d’autunno



risposta non c'è, o forse chi lo sa?




dicono che arriva il freddo,
guardo gli alberi ancora verdi
colmi di foglie, e le rose di ottobre
colme del mio stupore
 
gomitoli di lana calda
mi avvolgono, ma senza urgenza,
dove finirà il verde delle foglie
e il rosa delle rose nei giorni d’inverno?
 
le nuvole si son mangiate
il cielo e le cime delle montagne
e così la pioggia trascina tutto giù
nelle griglie, nei tombini… giù
 
chissà dove finiscono i pensieri felici
nei giorni di pioggia, forse sbiadiscono 
solo un po’ e con il broncio nella nebbia, 
se ne vanno dietro note di malinconia
                                                                        
 
(il titolo si ispira alla canzone di Bob Dylan    “Blowin’ in the win” del 1962)